Bici e dottori: una storia d’amore

2022-10-14 20:52:58 By : Mr. JOE ZHOU

Prima fammi vedere di cosa si tratta —–>

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Medicina e ciclismo: due ambiti da sempre molto legati. E no, non stiamo parlando di doping o di medicina sportiva, ma di professionisti sanitari che – a livello amatoriale oppure addirittura semi-professionale – amano correre in bicicletta e a questa passione dedicano tutto il loro (poco) tempo libero. Il medico ciclista: una figura talmente diffusa da ispirare una specifica tuta in vendita su di un popolare store online di abbigliamento sportivo, il che ci dà la misura del successo di questa pratica tra i professionisti della salute. Forse è merito del carico metaforico del ciclismo su strada, sport di squadra ma al tempo stesso basato sulla solitudine e la fatica? Oppure è merito degli indubbi effetti benefici sulla salute garantiti dall’andare in bicicletta?

“Quando non sono in laboratorio, in ufficio o sul mio MacBook, sono sulla mia bici”

John Mandrola, aritmologo americano di chiara fama e chief cardiology correspondent per “Medscape”, il più importante portale web di informazioni per i medici, ama fare attività sportiva intensiva in generale, ma è soprattutto un ciclista: “Ho biciclette di tutti i tipi: strada, ciclocross, tandem, mountain bike. Ma se potessi avere una sola bici, sarebbe una mountain bike”. E questo nonostante soffra egli stesso – come tanti suoi pazienti – di fibrillazione atriale. “Troppo sport? Quando è abbastanza e quando è troppo, nelle mie condizioni e alla mia età? Questa è una domanda da $ 64.000, come quella del vecchio show televisivo statunitense. Me la caverò ripetendo quello che disse quel famoso giudice sull’indecenza: «La riconosco quando la vedo». Quando sarà troppo, spero di accorgermene, ma per il momento quando non sono in laboratorio, in ufficio o sul mio MacBook, sono sulla mia bici”.

Anche Jodhbir S. Mehta, direttore del Department of corneal & external eye disease del Singapore national eye centre (Snec) è un appassionato ciclista. “Ho iniziato nel 2020 soprattutto spinto dai miei amici ma anche perché in quei mesi le palestre erano chiuse per la pandemia di covid-19 e comunque non volevo rinunciare all’attività fisica. Lo svantaggio è che sono costretto ad andare in bicicletta la mattina presto per evitare il caldo e il traffico di Singapore! Ma ho scoperto che una volta che i pedali iniziano a girare, la scarica di adrenalina arriva molto più velocemente rispetto alla corsa. La cosa buona del ciclismo è che ho visto molto di più di Singapore di quanto non avessi mai visto, specialmente quando giro in bicicletta con i miei amici intorno all’isola. Dopo una biciclettata mattutina, mi sento rinvigorito per il resto della giornata. Inoltre, il ciclismo è uno sport molto più sociale che andare in palestra da solo”.

“Sono un osso duro. Ci sono ragazze che hanno paura in discesa, io invece mi butto senza pensarci”

Élise Chabbey è un’atleta versatile e tenace. Nel 2012 ha partecipato alle Olimpiadi di Londra nella disciplina canoa/kayak, mentre nel 2017 si è classificata come miglior svizzera nella mitica corsa di montagna Sierre-Zinal. Ma Élise è anche un medico, e nel 2020 – in piena pandemia – ha lavorato presso l’Ospedale universitario di Ginevra. Questo non le ha impedito di diventare campionessa svizzera su strada e di classificarsi al 24° posto al Giro d’Italia Internazionale Femminile, la corsa più dura del ciclismo femminile: 11 giorni non-stop con tappe di montagna tra cui la salita al Passo Gavia, uno dei passi più alti delle Alpi, che culmina a 2600 metri. “Ma me la cavo, sono stata spesso l’ultima gregaria ad accompagnare la capitana della mia squadra, la neozelandese Harvey, che si è aggiudicata il 5° posto nella classifica generale. Il ciclismo è anche uno sport di squadra dove ogni atleta si impegna per le altre. Sulle strade collinari do il meglio quando fa freddo e piove. Sono un osso duro. Ci sono ragazze che hanno paura in discesa, io invece mi butto senza pensarci”.

Erica Magnaldi, giovane pediatra di Torino, è una star del ciclismo femminile europeo: top-10 in classifica assoluta al Tour de l’Ardèche, 10° posto in classifica generale al Giro Rosa, quarta all’Amgen tour of California, quinta al Tour of Yorkshire, 10° posto al Trofeo Binda. “L’Ardèche è una delle mie gare preferite perché è stata la mia prima gara ciclistica professionistica in un gruppo femminile. Ho iniziato con le granfondo nei miei primi anni in bici, ma c’erano solo poche ragazze, quindi ho dovuto competere contro gli uomini”.

“Ovviamente il lavoro viene prima del ciclismo”

La gallese Anna Morris, medico ospedaliero a Cardiff, promette bene anche come ciclista: è già arrivata quarta nell’inseguimento a squadre femminile e ha anche rappresentato il suo Paese nella cronometro e nella corsa su strada ai Giochi del Commonwealth. Sebbene Morris sia stata a lungo un’appassionata di sport, è stato solo all’università che ha iniziato a pedalare con continuità, fino all’attività agonistica di alto livello. “Quando lavori come medico ospedaliero, ovviamente il lavoro viene prima del ciclismo, quindi chiaramente ci sono periodi in cui mi è difficile allenarmi come dovrei. Ma quando ho tempo è bellissimo focalizzarmi sul ciclismo e cercare di migliorarmi”.

E in Italia? Sono ovviamente moltissimi i medici che praticano il ciclismo a livello amatoriale (alcuni sono figure quasi mitiche, come Guido Venturini, medico di famiglia di Massa) e non mancano iniziative importanti legate al ciclismo come Il dono dell’ospitalità, un viaggio di oltre 1500 chilometri in bicicletta da Comiso, in Sicilia, a Milano effettuato nel 2020 per celebrare i medici e gli operatori lombardi in prima linea durante la prima ondata della pandemia di covid-19 e organizzato da un gruppo di amici tra i quali il medico Salvo Purromuto. L’iniziativa è stata sostenuta dal Comune di Comiso, dall’Asp 7 di Ragusa, dalla Regione Sicilia e dall’assessorato regionale alla Salute della Regione Lombardia.

“Andare in bici, per un oncologo come me, è una continua metafora della bellezza e delle difficoltà del nostro lavoro”

Una meritata visibilità ha conquistato recentemente Massimo Di Maio, direttore della Scdu oncologia medica dell’Ao Ordine Mauriziano di Torino – grande appassionato di ciclismo ed egli stesso ciclista di buon livello – che a fine agosto 2022 è stato protagonista di una pedalata in solitaria da Torino a Sorrento in sette tappe attraverso Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio e Campania. “Certamente non si pianifica un’avventura come questa se non c’è innanzitutto una grande passione per la bicicletta”, spiega Di Maio. “Il tempo a disposizione per me è sempre poco, con gli impegni di lavoro quasi mai riesco a uscire in settimana, ma almeno nei weekend cerco di ritagliarmi sempre lo spazio per le uscite. In questo caso è diverso: una settimana di ferie interamente dedicata a percorrere l’Italia, partendo simbolicamente dal mio attuale luogo di lavoro per arrivare fino a Sorrento, il posto dove sono cresciuto e dove ho iniziato a pedalare”. Mille chilometri nel paesaggio italiano, da nord al sud, dalle Alpi al mare, in una varietà di paesaggi e di incontri che ricorda da vicino quella delle esperienze umane che l’oncologo affronta giorno per giorno.

L’obiettivo era sollecitare donazioni alla Fondazione Scientifica Mauriziana Onlus, finalizzate al sostegno di progetti di ricerca scientifica condotti presso l’Oncologia dell’ospedale torinese, ma anche proporre temi di riflessione ai colleghi oncologi e al pubblico. Eccone alcuni: l’importanza dell’esercizio fisico in generale e per i pazienti oncologici, la prevenzione primaria (con una particolare attenzione all’esposizione al sole), la fatica degli operatori sanitari ma soprattutto dei pazienti e dei loro familiari, l’importanza del lavoro di gruppo, il ruolo essenziale di un’alimentazione sana ed equilibrata. Si stima, infatti, che nel quasi il 40% dei malati oncologici, già al momento della diagnosi, sia presente uno stato di malnutrizione e che questa abbia un impatto clinico sia sulla tollerabilità sia sulle complicanze dei trattamenti. Nel setting chirurgico il paziente malnutrito è più suscettibile alle complicanze infettive e quindi ad un aumento dei tempi di degenza e di recupero funzionale. Nel setting chemio- radio terapico il paziente malnutrito sviluppa più frequentemente delle tossicità, anche gravi, che compromettono le cure stesse o che, molto spesso, vengono interrotte o ritardate nel tempo. Il tutto si traduce in una minore efficacia delle terapie e una compromissione della prognosi. Il paziente ha quindi un rischio di mortalità più elevato e una riduzione della qualità di vita. Un intervento nutrizionale precoce ha l’obiettivo di sostenere adeguatamente il paziente sia nei confronti della malattia che rispetto agli eventuali effetti collaterali dei trattamenti. È fondamentale, quindi, che l’oncologo chieda la consulenza di uno specialista in scienze dell’alimentazione. Lo specialista valuta lo stato nutrizionale del paziente e predispone un programma dietetico, prevedendo, in caso di necessità, supplementi nutrizionali orali ad integrazione della normale dieta per soddisfare i fabbisogni specifici del paziente oncologico. Temi di grande importanza, che la Torino>Sorrento hanno aiutato ad evidenziare: “Andare in bici, per un oncologo come me, è una continua metafora della bellezza e delle difficoltà del nostro lavoro”, ha dichiarato Di Maio.

Bicicletta Ciclismo Medici sport e salute sport femminile

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