«Scusate il disturbo», viaggio nella scuola del Covid: «Ripartire guardando gli studenti negli occhi»- Corriere.it

2022-09-16 19:48:05 By : Ms. Jane Yin

Guardati senza essere visti. Prima dietro il monitor della Dad poi sotto la trama asettica delle mascherine, che insieme al virus ha filtrato anche le loro emozioni. Era la scuola durante il Covid. Oggi ne inizia una nuova. In questo primo giorno di scuola tutto sembra essere tornato alla normalità, ma i ragazzi sono pronti a lasciarsi alle spalle quanto hanno vissuto negli ultimi due anni e mezzo? Nell’inchiesta che segue raccontiamo cosa li ha cambiati profondamente durante la pandemia: il loro disagio psicologico, le ansie e le paure. Affinché non si ripresentino. Professori e psicologi insieme per evitare gli errori e le incomprensioni del passato. Febbraio 2022, liceo Carducci, Milano La Dad stava tramontando, ma per gli studenti non era certo tempo di «happy hour». Lo dicevano chiaro, fuori dal cancello della scuola. Sotto strati di felpe e cappotti manifestavano la loro presenza con l’assenza: banchi vuoti di chi aveva perso fiducia nel futuro. «Ho visto una ragazza che dopo una verifica si è precipitata fuori a piangere», ci raccontava un ragazzo fuori dal liceo. «Mi ha detto di aver preso un brutto voto e che la scuola accentua questi suoi attacchi di panico». A fargli eco una compagna di classe, ridendo amaramente: «In bagno ci sono i comizi di gente che piange». «Poi - aggiungeva un terzo -, ci sono professori che aiutano, con loro sei tranquillo e riesci a studiare anche meglio la materia, e professori che invece ti lasciano lì». I numeri del disagio durante la pandemia Ben 9 studenti su 10 hanno manifestato in passato forte disagio per la loro salute mentale, il 28% ha sofferto di disturbi del comportamento alimentare e c’è stato un incremento dell’84% negli accessi ai pronto soccorso e ai servizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Lo affermava con chiarezza il sondaggio Chiedimi come sto, promosso dalla Rete degli studenti medi, dall’Unione degli universitari (Udu) e dal sindacato dei pensionati Spi Cgil. L’indagine ha coinvolto 29mila studenti delle scuole superiori e delle università italiane: il 26,4% degli intervistati ha pensato di abbandonare gli studi durante l’emergenza sanitaria e l’esperienza della Dad, ma nemmeno il ritorno tra i banchi, fino allo scorso giugno segnato dai numerosi limiti imposti dai protocolli sanitari, è stato indolore. La principale forma di disagio, secondo le rilevazioni, era costituita da interrogazioni, esami e verifiche in presenza (60,4%). Sinpia (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) rileva che in Italia i disturbi neuropsichici dell’età evolutiva colpiscono quasi 2 milioni di bambini e ragazzi, tra il 10 e il 20% della popolazione infantile e adolescenziale tra i 0 e i 17 anni. «I ragazzi sono rapaci» Il sentire comune tra i più giovani è un’attenzione mal direzionata da parte degli adulti, eccessivamente preoccupati delle prestazioni scolastiche, a discapito delle condizioni di salute fisica e mentale. E a fare mea culpa sono stati gli insegnanti stessi, come Anne Rossini, docente di inglese al liceo Veronica Gambara di Brescia: «Tanti genitori, dopo lo scoppio della pandemia, mi hanno contattata manifestando forte preoccupazione. Ma non avevano paura perché i figli erano isolati e avvolti nel dramma dell’incertezza, bensì per i voti. Sta seguendo il programma? Riuscirà a recuperare l’insufficienza? Un atteggiamento – continua Rossini – molto diffuso anche tra i colleghi insegnanti, quello di puntare tutto sul numero, sul voto e sulle nozioni, ma se tu sai creare quell’interesse nei ragazzi, non c’è neanche bisogno di dare imposizioni, loro sono in grado di documentarsi e chiedono. Perché non è vero che sono sdraiati, sono rapaci». «Pressione? Ma quale pressione?» Ad alcuni professori però i numeri continuano a piacere. Sulle scale del Carducci ci veniva indicato il prof famoso per i tanti 2: «Sì, ma metto anche tanti 10. Non è che mettere 2 serva a qualcosa, ma è la registrazione oggettiva della performance». Nel frattempo una collega gli passava accanto e commentava: «Vado, vado, sennò mi arrabbio». «I ragazzi – ribatteva il docente – al massimo mi chiedono una verifica di recupero e io gliela faccio fare. Pressione? Ma quale pressione?». Le incomprensioni e gli errori da non ripetere «Hanno un’identità che si sta ancora formando, per questo gli adolescenti sono molto più fragili rispetto agli adulti davanti a eventi traumatici come quelli che abbiamo vissuto negli ultimi anni», spiega Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista. «La pandemia prima e la guerra poi – continua il professore – hanno generato un incremento tra i giovani di disturbi del comportamento alimentare, manifestazioni di ansia, depressione e altri disagi psicosomatici da stress». La scuola non va messa sul banco degli imputati, ma può fare molto per aiutare ragazze e ragazzi: «Quanto quel 2 può stimolare e quanto diventa elemento di mortificazione? – si chiede Erzegovesi -. Il concetto è dare un senso a questo numero, farlo diventare motivo di crescita e non di abbattimento. È come nella medicina: se do una diagnosi devo dare anche una cura».

A scuola di relazioni Pablo Zuglian, psichiatra dell’Istituto Psicologico italiano: «Noi cerchiamo di lavorare affinché la scuola sia partecipe di un progetto didattico personalizzato per gli studenti ed è importante che i professori riescano a essere sufficientemente disponibili. Alcuni lo sono molto, anche attivamente, altri lo sono solo da un punto di vista formale. La scuola dovrebbe agire di concerto con genitori, ragazzi e clinici, lavorando sulla classe, non sul singolo studente». E qualche volta lo si è fatto. «Diversi genitori mi hanno comunicato che, prima delle interrogazioni e delle verifiche i ragazzi avevano necessità di prendere tranquillanti e psicofarmaci per riuscire a riposare, per gestire l’ansia – spiega Marina Mascotti, professoressa liceo Severi Milano -. Quindi abbiamo pensato di proporre un percorso con alcune psicologhe qui a scuola siamo riusciti a sbloccare un po’ le relazioni, c’erano diversi compagni isolati all’interno della classe e per fortuna dopo questo scambio la situazione è migliorata. Rinunciamo a qualche ora di lezione ma penso che il risultato che otteniamo in termini di benessere sia significativo». La protesta davanti al Ministero «Ho sofferto di anoressia nervosa quando avevo 13 anni, però ammetto che anche se l’ho superata a livello fisico, si vede ancora oggi e certe volte torna – racconta Chiara Prete, della Rete di studenti Varese. E proprio dagli attivisti per la lotta contro i disturbi alimentari è nata, la scorsa primavera, una protesta davanti al palazzo del Ministero della Salute. “La nostra iniziativa – spiega Chiara – si chiama ‘Chiedimi come sto’ e parla di tutti i disagi psicologici derivati da questo periodo di totale incertezza, chiediamo maggiore supporto psicologico». L’eterna adolescenza Un tempo veniva chiamato «il periodo critico dell’adolescenza», quello fra i 13 e i 19 anni. Oggi la criticità ha slabbrato i suoi confini, non solo perché disagio psichico e comportamenti sintomatici si manifestano già nei bambini, ma anche perché i giovani adulti sembrano cristallizzati in un’eterna adolescenza tormentata. «Il disagio psicologico era in aumento già negli anni precedenti la pandemia – fa notare Marina Brambilla, prorettrice ai servizi per gli Studenti Unimi -, ma durante gli ultimi due anni abbiamo registrato un incremento del 75% delle richieste di aiuto e questa percentuale aggiuntiva ha chiesto supporto per nuovi problemi: il senso di isolamento e di smarrimento, l’abuso di sostanze stupefacenti, disturbi del comportamento alimentare, attacchi di panico ed episodi che sfociano nella depressione e nei disturbi borderline di personalità. Davanti a una simile situazione – spiega Brambilla - abbiamo deciso di rispondere con un aumento dei servizi, potenziando il team di psicologi e avviando un percorso di condivisione con il Comune di Milano, i servizi sociali e Regione Lombardia, perché questo è un tema che nessuno può affrontare da solo».

«Dire buongiorno e guardare i ragazzi negli occhi» A proposito di voti, abbiamo chiesto ai docenti quale valutazione darebbero sul loro operato in relazione alla salute mentale dei ragazzi. «È un voto difficile da dare – risponde Paola Melissano, insegnante al Carducci di Milano -, perché ci si confronta poco anche tra colleghi, nel senso che si hanno pochissime occasioni per parlare veramente. Poi non siamo tutti uguali nel gestire gli studenti». Né lo saranno i ragazzi quando, da oggi, ricompariranno in classe senza lo scudo di schermi e mascherine. Ai professori il consiglio del dirigente scolastico Andrea Di Mario: «Dire buongiorno e guardare i ragazzi negli occhi».

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